mercoledì 26 ottobre 2016

I DISTURBI DEL SONNO

Sono molte le persone che riferiscono di avere dei disturbi del sonno e spesso non hanno modo di capirne le cause o la causa. I disturbi del sonno vengono catalogati, in genere, in tre categorie: parainsonnie, russamento, apnea e insonnia. Le parainsonnie più comuni sono il bruxismo e il sonnambulismo; il primo è l'atto di muovere e di grignare i denti mentre si dorme, il secondo riguarda la deambulazione durante il sonno, che colpisce frequentemente i bambini. Mentre nel russamento le cause possono essere molteplici; come obesità, fumo, allergie, raffreddori e tutto ciò che influisce sulle vie respiratorie, causando una scarsa qualità del sonno a se stesso e a chi è costretto ad udire le vibrazioni che vengono emesse. In caso di apnea notturna, il sonno viene interrotto dalla mancanza d'aria e può essere compromessa la vita del soggetto stesso. Chi soffre di questo disturbo ha generalmente un umore instabile. Per chi riferisce di soffrire di insonnia le cause sono diverse e riguardano prettamente la sfera psichica, come in gran parte le sopra citate. Nella pratica terapeutica, molti pazienti, che soffrono di disturbi d'ansia generalizzata, esplicano la difficoltà a prendere sonno oppure affermano di dormire male. In entrambi i casi, ho avuto modo di constatare, che i fattori ansiogeni generano delle tensioni che si localizzano nella parte lombosacrale, negli arti inferiori e a livello delle scapole. Per questo motivo è importante, a mio avviso, oltre al colloquio clinico, far comprendere al paziente che per una migliore qualità del sonno è necessario conoscere i punti deboli del proprio corpo, che accumulano lo stress nelle ore diurne e notturne. L'ansia e di conseguenza lo stress che crea le contrazioni muscolari possono essere affievolite mediante degli esercizi corporei da attuare nello spazio terapeutico e successivamente da ripetere prima del riposo notturno. Voglio ricordare che la perdita di sonno, la percezione di dormire male e le contrazioni muscolari, causano umore instabile e in alcuni casi generare crisi d'ansia o attacchi di panico. Tuttavia, spesso si incorre in cure palliative, ancorandosi a farmaci o alcool, o credendo di avere dei disturbi fisiologici. Il corpo non è altro che un messaggero, ovvero, rende manifesto ciò che la psiche tenta di celare.

Di Cristian Chiappetta
Psicologo-Psicoterapeuta

domenica 23 ottobre 2016

SAD: Disturbo Affettivo Stagionale

 L’inizio della primavera è sempre un periodo molto atteso ma è anche una fase piuttosto difficile dal punto di vista psicofisico per gli effetti che il cambio di stagione  ha sulla nostra fisiologia, sullo stile di vita e sull’umore. Così disturbi temporanei come stanchezza, sonnolenza, depressione, senso di malessere generale, possono essere frequenti.Il cambio di stagione è un momento critico anche per chi già soffre di depressione poiché le sollecitazioni  acutizzano i disturbi preesistenti. Molti aspettavano con ansia l’uscita dall’inverno, altri guardano al nuovo cambio di stagione con un po’ di apprensione. Può succedere, infatti, che il passaggio dall’ora solare a quella legale (e viceversa) rappresenti un momento critico in grado di scombussolare i nostri equilibri neurochimici, provocando uno stato di malessere molto vicino alla depressione. Se all’inizio della primavera o con l’arrivo dell’autunno regolarmente cominciate a sentirvi stanchi, irritabili, apatici, con ogni probabilità soffrite di un Disturbo Affettivo Stagionale (SAD), legato all’influsso delle variazioni climatiche sul sistema endocrino. Già Ippocrate nel 400 a.C. descriveva una depressione legata alle stagioni, ed anche oggi circa il 25% della popolazione, va incontro a cambiamenti dell’umore, del sonno e dell’attività socio-lavorativa. In particolare, quando i mutamenti sono ciclici, ad ogni inizio di primavera (in percentuale minore) e d’autunno, si può presentare quello che scientificamente viene definito disturbo affettivo stagionale (SAD). Il SAD (Seasonal Affective Disorder, sigla coniata da Rosenthal  nel 1984) è un disturbo ciclico dell’umore vero e proprio ed è descritto anche nella guida ai disturbi psichiatrici, il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder) come modalità di decorso dei disturbi dell’umore. Colpisce circa il 2-3% della popolazione europea in una fascia di età compresa fra i 20 e i 40 anni, con una maggiore incidenza nelle donne. I sintomi sono facilmente diagnosticabili: stanchezza, irritabilità e sbalzi d’umore, scarsa concentrazione, apatia, eccessivo appetito con forte desiderio di mangiare cibi ad alto contenuto di carboidrati, ed infine ipersonnia e letargia. Le cause non sono ancora chiare, le ricerche condotte finora suggeriscono che la ragione è da ricercare nelle variazioni climatiche di temperatura, umidità e pressione, in grado di influenzare alcune sostanze chimiche (neurotrasmettitori) responsabili del nostro umore, primo tra tutti la serotonina.  Soprattutto la variazione di luce solare influirebbe sulla produzione di questo neurotrasmettitore che regola anche il ciclo di sonno-veglia e di melatonina, ormone anch’esso coinvolto nella regolazione del sonno, “inceppando” la capacità di adeguare e sincronizzare i ritmi fisiologici e causando stress, inizialmente solo fisico e poi anche psicologico. Nella maggioranza dei pazienti con SAD infatti i livelli di melatonina, che viene prodotta durante la notte, non presenterebbero le normali fluttuazioni, rimanendo alti per circa due ore in più rispetto al normale. In primavera così, il nostro corpo si prepara al caldo con variazioni endocrine, e alla maggiore esposizione della luce varia il livello di secrezione di melatonina. Se questa variazione provoca livelli di produzione anormali (troppo alti o troppo bassi), è stato documentato che possono comparire sintomi collegati a disturbi psichici. Con il cambiamento dell’ora legale, inoltre, il nostro corpo deve adeguarsi alle modificazioni dell’orologio solare: un processo lento che si può paragonare a quello che avviene quando siamo soggetti ad un cambiamento di fuso orario. Col passaggio alla stagione invernale, invece, quando l’esposizione alla luce diminuisce, si è osservato che i livelli di trasportatori della serotonina, che servono a rimuoverla, aumentano. Questi trasportatori troppo veloci provocherebbero una eccessiva riduzione della concentrazione del neurotrasmettitore, che trasformato permette, tra l’altro, la sintetizzazione della stessa melatonina. Con buoni risultati, ma ancora non scientificamente provati, il SAD potrebbe essere curato con la melatonina, già utilizzata contro la sindrome del jet-lag e, anche se i pareri medici sono discordanti, contro l’insonnia. Inoltre, in Europa Settentrionale, non a caso la zona più colpita da questo tipo di depressione, nei mesi autunnali ed invernali è diffusa  la “bright light therapy”, ovvero la fototerapia, in cui il paziente viene esposto a una sorgente luminosa superiore a 2000 lux. Quando è efficace, la fototerapia si caratterizza per la precocità del miglioramento sintomatologico e la scarsità di effetti collaterali. È molto importante intraprendere un percorso di psicoterapia individuale e, successivamente, partecipare a degli incontri di gruppo, che attraverso la socializzazione, aiutano il soggetto a condividere la propria fragilità emotiva, riducendo notevolmente gli stati ansiogeni e gli stati depressivi.

Dott. Cristian Chiappetta
Psicologo - Psicoterapeuta



giovedì 20 ottobre 2016

Disturbo Post - Traumatico da Stress


La definizione ufficiale del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) presente nel DSM si basa su un modello concettuale che lega eventi traumatici catastrofici di gravità minore a un ben definito quadro clinico, sostanzialmente identico in tutti coloro che hanno sviluppato il disturbo. Il DPTS è attualmente classificato tra i disturbi d'ansia e si manifesta con una serie di sintomi innescati dall'esperienza che l'individuo fa di eventi traumatici stressanti, come la personale esposizione alla perdita di una persona cara, a situazioni che implicano minaccia alla propria integrità fisica, a quelli di familiari o amici stretti, come ad esempio la presenza di una grave malattia, una morte violenta ed altri eventi dolorosi di fronte ai quali la persona prova un sentimento di impotenza, di orrore e terrore. I principali sintomi associati al DPTS possono essere raggruppati in tre categorie e per poter porre una diagnosi di questo tipo devono avere una durata di almeno un mese e compromettere in maniera significativa le aree di funzionamento globale dell'individuo esposto all'evento traumatico. Si possono generare dei sintomi "intrusivi", che riguardano immagini frequenti o incubi che fanno rivivere l'evento traumatico; percezioni e sensazioni (suoni, sapori e odori) che richiamano alla mente l'evento anche contro la volontà  della persona. Si può provare notevole disagio quando ci si trova di fronte a situazioni che in qualche modo ricordano l'episodio traumatico. Esistono dei sintomi di "evitamento e di attenuazione della reattività  generale", in cui la persona traumatizzata cerca di evitare i pensieri, i ricordi, le sensazioni, le emozioni ed i discorsi relativi al trauma, e soprattutto fa ogni sforzo per non ricordare e non trovarsi con persone presenti nella tragica circostanza o in luoghi che gli possono evocare l'evento terrificante. Si può verificare nella sintomatologia la "ipereccitabilità", che crea difficoltà ad addormentarsi o mantenere il sonno, concentrarsi su un compito, reazioni esagerate di allarme o di paura e rabbia eccessiva. Questi sintomi possono comparire immediatamente dopo l'evento traumatico ma anche a distanza di molti mesi. Risulta efficace per il DPTS una psicoterapia con approccio dinamico che aiuta il paziente a diminuire il grado d'ansia e gli altri sintomi correlati all'evento traumatico. È consigliabile in questo caso un trattamento farmacologico e psicoterapico, in quanto con il solo impiego di psicofarmaci si produce una risoluzione momentanea dei sintomi.

Di Cristian  Chiappetta 
Psicologo-Psicoterapeuta