Come spesso accade in questo tipo di fenomeni, si
tende a rimanere ancorati a degli stereotipi culturali e a classificare gli
eventi traumatici puntando il dito su un colpevole, tralasciando la vittima. A
mio avviso, è necessario approfondire le dinamiche emotive che conducono ad una
simile condotta. La stessa parola “Stalking” , dal verbo inglese “to Stalk”,
che significa letteralmente “braccare, seguire, pedinare, perseguitare” ; viene
utilizzata in modo improprio, soprattutto in
Italia. Attraverso la mia esperienza in ambito clinico e soprattutto
svolgendo la professione di psicoterapeuta, mi è capitato spesso di intraprendere
delle psicoterapie con pazienti vittime di stalking e stalker. In ambito
terapeutico, credo che sia importante, valutare diverse variabili per poter
tracciare un profilo psicologico o psicopatologico dello stalker; per quanto mi
riguarda, occorre effettuare un’analisi differenziale, cioè, valutare prima il
profilo della vittima e successivamente il profilo dello stalker. Dico questo
perché, ciò che predomina nella relazione tra la vittima e il carnefice, è la
mancanza di “principio di realtà”, ovvero una dispercezione dei fatti realmente
accaduti. Quindi, come ho detto precedentemente, nel nostro paese la parola
stalking viene usata impropriamente, anche dalle stesse vittime. In base alla
mia esperienza clinica posso affermare che, a volte, le vittime diventano
carnefici di se stesse. Dagli anni ’90, le teorie in merito a questi fenomeni
sono tante, ma l’ambito psicoterapeutico, mi ha fornito diversi strumenti per
poter tracciare delle ipotesi riguardo ai comportamenti sia della vittima, che
dello stalker. Ho classificato così tre profili di stalker:
1) Lo
stalker “controllato”: cioè colui che attua un controllo sulla propria vittima,
attraverso internet o effettuando dei veri e propri pedinamenti; sono soggetti
che difficilmente compiono gesti di violenza. Spesso lo stalker viene inteso
come un uomo o una donna che viene lasciato/a
dal proprio partner, ma a volte, non avviene tutto ciò. In alcuni casi
clinici che ho seguito, per esempio, la vittima e il carnefice non avevano
vissuto un legame duraturo nel tempo, ma al massimo si erano incontrati duo o
tre volte. In questo caso lo stalker, cioè nei brevi incontri, aveva avuto modo
di reperire le informazioni necessarie per stabilire una modalità di contatto
con la vittima. Quando l’altro o l’altra, si accorge di alcuni comportamenti
ossessivi e non vuole continuare la relazione o la conoscenza, si crea un
distacco psicofisico, in cui lo o la stalker reagisce cercando una
comunicazione con la vittima per attenuare quell’angoscia dovuta
“all’abbandono”. Generalmente, lo stalker controllato, tenta di comunicare
attraverso telefonate, sms, lettere, mail o anche scritte sui muri che creano
un contatto con la vittima, facendola sentire osservata e sorvegliata. Lo stalker controllato, non vive la relazione
con la vittima attuando violenza fisica, ma psicologica, in quanto desidera
manipolarla per renderla oggetto e fulcro della propria esistenza. Rivive nel
rifiuto un abbandono, che non è riuscito a superare e che riesce a colmare
attraverso un punto di fissazione, procurando a se stesso stati ansiogeni. In
ambito terapeutico, lo stalker controllato ottiene ottimi risultati e di
conseguenza anche la vittima, in quanto non si è verificato nessuno o qualche
episodio di violenza fisica.
2) Lo
Stalker “non controllato”: inizialmente attua le stesse modalità dello stalker
“controllato”; cioè tutte attività che tendono a controllare la vittima in modo
virtuale, oppure attraverso persone o familiari che hanno contatti ravvicinati
con la stessa. Con questo tipo di stalker, ho avuto modo di carpire determinati
atteggiamenti che sottolineano una marcata tendenza a manipolare la vittima,
anche attraverso regali o mazzi di fiori recapitati a casa o in ufficio. Queste
modalità, a mio avviso, hanno il potere di confondere la vittima e di creare un
legame stretto con lo stalker; creando un “up and down” tra allontanamento e
avvicinamento e tra sentimenti di odio e di amore. Il “non controllato”, quando
non riesce ad avere dei contatti con la vittima, entra in uno stato ansiogeno e
coglie ogni occasione per infliggere dolore attraverso la violenza fisica. Tra
le diverse psicoterapie intraprese in ambito clinico, ricordo un episodio in
particolare di una donna con poco più di trent’anni d’età, vittima di stalking
già da due anni prima; inizialmente lo stalker era “controllato”, quindi agiva
attraverso mezzi di comunicazione virtuali come internet, nel momento in cui si
è verificato l’ennesimo rifiuto verbale molto violento da parte della vittima,
lo stalker si è recato nel luogo in cui si trovava la donna e ovviamente,
cogliendola di sorpresa, l’ha trascinata in un bagno dandole ripetute percosse
e dopo averla stordita, con un taglierino le ha procurato ferite profonde al
seno. Ho raccontato questo episodio per spiegare che il “non controllato”
rientra in un profilo psicopatologico, e tale profilo, è caratterizzato da
diversi fattori familiari e ambientali in cui lo stalker ha vissuto l’infanzia
e l’adolescenza e come si è proiettato nella vita adulta. Naturalmente, i
fattori possono essere molteplici; uno tra questi è “l’abbandono” che troviamo
anche nello stalker controllato, ma ben più grave è, l’abbandono legato alla
violenza fisica subita dalla figura materna o la visione di atti violenti su
altre persone. Durante le sedute di psicoterapia, molti stalker, hanno sempre
affermato di ricordare la violenza del padre nei riguardi della propria madre,
ed erano in grado di raccontare le scene violente nei minimi dettagli. Tutto
ciò invita a riflettere su come il profilo dello stalker, da me denominato “non
controllato” o psicopatologico, sia un sistema complesso di processi cognitivi
sfalsati da una realtà colma di violenza e di manipolazioni psichiche da parte
di persone che dovrebbero insegnare ad amare in modo sano. Invece, a parer mio,
questo profilo di stalker rappresenta la figura del “Falso Sé”, in cui avviene
una scissione in due parti; cioè un Sé manipolativo che tende ad attirare la
vittima e renderla sua per un periodo di tempo, quando l’atto manipolativo non
mostra più risultati, entra in azione l’altra parte del Sé, cioè quella
schizoparanoide e quindi si pianifica l’atto o gli atti di violenza. Nella
pratica terapeutica il “non controllato” richiede un lavoro esteso nel tempo che
non si può definire, in quanto individualmente ogni stalker, ha delle difese
psichiche che possono confondere lo psicoterapeuta, soprattutto nella pratica
manipolativa in relazione ai fatti realmente accaduti.
3) Il
“falso Stalker”: E’ colui il quale diviene vittima pur essendo additato come
stalker. Come ho detto prima, in Italia la parola Stalker viene utilizzata in
modo improprio e spesso accade questo quando la donna è vittima di stalker. In relazione
a ciò, in precedenza ho affermato che, è necessario effettuare un’analisi
differenziale in ambito terapeutico, per tracciare un profilo psicologico o
psicopatologico, prima sulla vittima e poi sullo stalker. Credo che questo tipo
di azione sia necessaria per capire i tratti di personalità, e se, la vittima
stia mentendo su fatti che crede realmente accaduti e soprattutto per la
gravità delle azioni commesse dal presunto Stalker nei riguardi della sua
persona. Sicuramente chi mente su questioni gravi come queste potrebbe essere
una o uno psicotico che possiede una visione distorta della realtà.
Solitamente, una personalità psicotica, con mancanza di principio di realtà
crede che quanto affermato in relazione ad un’aggressione o un pedinamento da
parte di un’altra persona sia la realtà e ne rimane fermamente convinto.
Succede spesso di incontrare nei percorsi terapeutici soggetti psicotici che si
procurano delle ferite o ematomi per rendere credibile agli occhi del terapeuta
una violenza non procurata da altri. Persone del genere hanno delle manie
persecutorie, cioè; nel loro percorso di vita si sono sempre sentite
perseguitate o non sono state mai ascoltate dalle figure genitoriali. Tutto ciò
ha generato un Sé distorto che, gli garantisce visibilità al centro di una
scena. Purtroppo il soggetto psicotico viene alimentato, a volte, dai mass media
che, giustamente ci informano ma amplificano la realtà distorta di queste
persone che prendono spunto da ciò per creare una realtà personale che, ahimè
include persone innocenti. E’ importante filtrare in modo adeguato le
informazioni riguardo allo stalking per
evitare disagi psichici sia alle vittime reali che ai falsi stalker.
E’ ovvio che, oggi,
esiste una classificazione molto utilizzata in ambito internazionale, in quanto
serve per valutare diverse variabili, quali la persistenza dello stalking, lo
scopo dei comportamenti, quali sono i rischi di violenza e la risposta che un
trattamento terapeutico può determinare. Chiaramente i dati che si ottengono si
riferiscono ad un campione che risulta utile ad un fine predittivo. La classificazione
è stata effettuata nel gruppo di Melbourne dal Prof. Mullen che ha presentato
diverse tipologie di Stalkers divise in cinque punti principali:
1) “Il
Rifiutato”: Cioè colui che mette in atto delle molestie assillanti nel momento
in cui il partner decide di interrompere il rapporto. In questo caso lo stalker
cerca in tutti i modi di ristabilire un contatto e di vendicarsi perchè avverte
il rifiuto come un’umiliazione agli occhi degli altri. Ciò che caratterizza le
emozioni del rifiutato è lo stato di separazione, che genera rabbia e
soprattutto timore che la persona amata sia insostituibile. Questa tipologia
risulta essere la più pericolosa tra gli stalkers, in quanto esegue un
controllo ossessivo e perseguita la vittima per cercare di mantenere la
relazione.
2) “IL
Risentito”: Cerca per lo più di intimorire la vittima, e spesso, sono persone
che condividono lo stesso ambito di lavoro, quindi colleghi o datori di lavoro.
Lo scopo è quello di punire il soggetto per un torto subito e d è fortemente
convinto che il suo comportamento sia giustificato. Il risentito, quindi, si
percepisce come vittima che lotta contro il suo oppressore; in realtà è un
processo di proiezione, cioè associa alla sua vittima le persone che in passato
lo hanno tormentato o umiliato. Secondo Mullen, il gruppo dei risentiti
presenta un disturbo paranoide associato anche ad abuso di sostanze.
3) “Il
cercatore di intimità”: Generalmente è colui che cerca di costruire una
relazione di amicizia o di amore, ma non cerca incessantemente la sessualità.
In realtà vive una relazione fantasticata con un partner che può essere uno
sconosciuto o un conoscente e, rimane indifferente alle risposte negative da
parte della vittima. Investe nella relazione con la vittima tutte le sue
energie mentali, uscendo fuori dal tunnel della solitudine e credendo che i
suoi sentimenti siano ricambiati, imputando alla vittima di avere qualche
blocco nella sfera affettiva che non gli consente di amare. Mullen afferma che
è la forma di stalking più persistente, in quanto dura in media tre anni e
viene attuata per lo più da donne con disturbi psicotici.
4) “Il
corteggiatore incompetente”: E’ quel tipo di stalker che non riesce ad entrare
in sintonia con il partner desiderato. Il suo scopo è quello di entrare in
confidenza con la persona che lo attrae. Generalmente il corteggiatore
incompetente è rappresentato dall’uomo che assume la figura del macho ed è
convinto che le donne debbano subire il suo fascino. Se non ottiene ciò che
vuole diventa aggressivo e maleducato; ma questo suo bisogno di possesso e di
conquista lo porta a considerare l’altro come un semplice oggetto ai cui
sentimenti è del tutto insensibile. Rispetto agli altri stalkers, il
corteggiatore incompetente, mette in atto condotte di stalking nei confronti di più vittime e quando non
ottiene risultati immediati cerca subito un altro bersaglio. Di solito, questi
soggetti possono avere deficit cognitivi o un basso livello culturale.
5) “Il
predatore”: Colui che cerca la propria gratificazione nella sfera sessuale, per
cui, il suo scopo è sempre quello di avere un rapporto sessuale con la vittima.
Il predatore prova soddisfazione e un senso di potere nell’osservare la vittima
di nascosto, nel pianificare l’agguato senza minacciare o lasciar trapelare in
anticipo le proprie intenzioni. I predatori, sono sempre di sesso maschile e
vengono spesso arrestati per molestie o omicidi e, risultano pericolosi perché
attaccano la vittima di sorpresa. Questa categoria, afferma Mullen, è spesso
affetta da parafilie, disturbi bipolari, disturbi di personalità e in alcuni
casi abuso di sostanze.
Di Cristian Chiappetta
Psicologo - Psicoterapeuta
Università di Roma La Sapienza